Natura del processo di Empowerment

E’ stato condotta un’analisi preliminare delle dinamiche e delle fasi del processo di empowerment applicato ai senza fissa dimora da parte di Ridaje. L’analisi ha prodotto un modello definito in un 7 micro-processi articolati all’interno di 2 macro-strategie. I primi 2 micro-processi sono strumentali alla strategia di creazione di un “safe space”  – uno spazio sicuro (fig. 1) – nel quale i senza fissa dimora trovano in prima istanza un luogo distaccato e sicuro dove essere accolti lontani dalle minacce della strada; in secondo luogo una formazione personale finalizzata all’acquisizione di competenze lavorative essenziali (organizzative, esecutive e creative) per poter contribuire agli obiettivi dell’impresa. I successivi 5 micro-processi invece sono orientati alla strategia di “riconnessione con la realtà esterna” (fig. 2) nella quale i senza fissa dimora, attraverso l’interazione con la realtà esterna all’impresa, in un contesto aperto orientato alla comunità, sviluppano un livello di responsabilizzazione, autodeterminazione. Entrambe le strategie favoriscono la creazione delle basi per la costruzione di una seconda vita, scevra da quei fattori di disabilitazione che li hanno portati al raggiungimento di uno stato di alienazione sociale e psicologica e al rifiuto della società esterna.

 

La creazione di uno Spazio Sicuro.

 

La vita in strada è rischiosa, anzitutto sul piano dell’incolumità fisica della persona, ma anche su quello dei possessi e dei beni che questa ha. L’esposizione senza protezione comporta uno stato di costante minaccia della salute (per via degli agenti atmosferici o delle condizioni climatiche), ma anche di rischio incessante di aggressione o estorsione.

I centri di accoglienza tentano di ovviare a questi pericoli, per molti versi sono anche risolutivi, ma hanno difficoltà diverse: in essi, infatti persone molto differenti tra loro per cultura, lingua, storia, condizione, si trovano a convivere in maniera quasi forzata (non dai centri, ma delle condizioni che ivi conducono). Questo implica rispettare le norme del Centro in questione, i limiti connessi agli effetti personali, gli orari di uscita ed entrata. Inoltre la permanenza nelle strutture non è stabile, ma sporadica (nasce per far fronte a momenti d’emergenza come il freddo). Pertanto la ricerca dell’alloggio, anche solo quello notturno, è fra le principali cause di disempowerment.

Per tale ragione, il primo obiettivo di Ridaje è creare e garantire lo Spazio sicuro. Questo si riesce a ricreare tramite due processi fondamentali.

 

1. L’ingaggio. 

Questo è un periodo di formazione intensivo (una induction week), durante il quale le persone selezionate da un primo screening seguono corsi sul giardinaggio, sulla manutenzione di spazi verdi, la sicurezza nel lavoro e la gestione degli interventi sul territorio. Non si tratta però di un tempo dedicato solo alle competenze tecniche, ma sono previsti momenti motivazionali, di etica del lavoro e di etica personale. Il motivo di questo percorso pratico e teorico è che c’è bisogno di introdurre le persone nella mission di Ridaje, di coinvolgerle a tutto tondo, oltre che renderle competenti e pronte a lavorare. Sempre in questa fase viene redatto un PSP, Piano di Sviluppo della Persona, che inquadra debolezze e mancanze della persona e delinea le attitudini lavorative a partire da un quadro psicologico con relativo accompagnamento professionale, medico, etc. (vedi Annex – Tavola 1.1)

 

2. Il distacco. 

Come abbiamo detto, il tema dell’assenza della dimora è assolutamente dirimente. Così ai “ridajers” viene data una stanza in un appartamento dedicato solo a loro, che devono condividere. Questo porta benefici enormi. Il primo e più evidente è averli levati dalla strada, ma con esso seguono a catena molti altri di natura psicologici e della percezione di sé (non sono più senza tetto, banalmente, ma hanno un luogo “loro”, distaccato dal mondo appunto). Possono così riappropriarsi di una propria identità, avere un cognome e un nome affissi ad un citofono, dire “io abito lì”. Per non parlare dei vantaggi di natura giuridico-sociale: i ridajers a differenza dei senza tetto hanno un domicilio stabile per i loro documenti e non devono più indicare l’indirizzo fittizio “via Modesta Valenti” come tutti gli altri senza tetto (vedi Annex – Tavola 1.2). 

 

Immagine 1: Modello di Empowerment– Creazione di uno Spazio Sicuro

 

L’attività di “riconnessione” con la realtà

 

Le persone che incontra Ridaje sulla strada arrivano a quel punto a seguito di una lunga serie di disgrazie, errori personali, fallimenti, che si traducono spesso in circoli viziosi da cui è difficile uscire. La loro vita non è quindi la conseguenza di libere scelte, ma di un concatenarsi di situazioni che fortemente hanno compromesso il loro arbitrio. Ciò significa che la rimozione degli ostacoli materiali, oggettivi, creando uno spazio sicuro, non è sufficiente a reintegrare queste persone nella società. Ecco perché attivare i processi di empowerment richiede lavorare sull’agency di costoro. Ridaje deve riconnettere i propri lavoratori con la realtà, se vuole riabilitarli veramente, quella stessa realtà che però li ha rigettati (oltre che spesso calpestati e abbandonati). Il lavoro si trasforma così nello strumento per ritornare nell’ambiente sfavorevole che li ha già respinti. Questo si realizza in ulteriori 5 processi.

 

1. Identità basata sui ruoli.

 

Lo staff di Ridaje chiama i propri lavoratori di Ridaje “ridajers”. Nello svolgimento delle loro mansioni in qualità di giardinieri, indossando la divisa di Ridaje, ricevano una considerazione e un trattamento professionale. Lavorano sotto la supervisione di un coordinatore non diversamente da qualunque altro impiegato d’ufficio in questo senso, il quale fornisce indicazioni e istruzioni necessarie, senza mai riferirsi in nessun modo al loro passato in strada. Nel loro “professional dress” (la divisa) ognuno ha il suo ruolo, mansione e piano operativo. Vengono trattati come professionisti e ci si aspetta da loro il medesimo comportamento. In tal maniera, trovandosi riconosciuti come giardinieri, ben volentieri rispettano questo ruolo che garantisce loro una identità sociale (vedi Annex – Tavola 2.1).

 

2. Ricostruzione dell’agency personale.

 

Quando il tempo di prova è scaduto, i ridajers sono chiamati a firmare un accordo: il “Patto dell’Alleanza”. Su questo sono esplicitati i doveri dei giardinieri, i comportamenti attesi e quelli vietati che subiranno una sanzione. Si tratta di una presa di responsabilità seria, perché ad essa è collegata una scala punitiva: dapprima il richiamo, quindi la sospensione, infine l’espulsione. Infine la parte più dura e più bella del Patto è la promessa a impegnarsi in vista dell’obiettivo ultimo: trovare un lavoro. Ridaje è un’esperienza, un ponte, non la destinazione. Al fine di concretizzare tale promessa, nel Piano di Sviluppo Personale sono esplicitati obiettivi e azioni che dovranno essere messi in essere per rendere esecutivo il piano stesso.

Quanto descritto ha una duplice finalità: vi è una responsabilizzazione di fronte al proprio comportamento, per la quale si riprendere contatto con la relazione scelta-conseguenza sul piano professionale. Il singolo è così rimesso a sé stesso: se agisce con discernimento ciò può cagionargli risvolti positivi. Dentro Ridaje si tenta di evidenziare i risultati positivi in termini di obiettivi raggiunti, ad esempio, con la consegna di responsabilità crescenti nella squadra, in funzione del livello di affidabilità concretamente dimostrato nell’attività lavorativa. Quanto detto ha come traduzione una nuova autoconsapevolezza sulla propria agency, tanto che il coordinatore può arrivare a delegare la guida su certi interventi alla figura più senior, fino a gestire non solo il lavoro nel senso operativo del termine, ma la relazione con il cliente stesso (vedi Annex – Tavola 2.2).

 

3. Rewarding economico.

 

I giardinieri di Ridaje sono regolarmente assunti e pagati per il loro lavoro, anche se la retribuzione da sola non è sufficiente da garantire uno stipendio che renda indipendenti i ridajers. Infatti all’importo deve essere affiancato il costo dell’affitto della stanza del loro appartamento. Ad ogni modo, stipendio e affitto sono le basi fondamentali su cui i giardinieri ricostruiscono la loro vita: oltre alle spese necessarie (alimentazione, telefono, medicinali, etc.) riescono a mettere da parte dei piccoli risparmi. Il rewarding economico, comunque, è volutamente ridotto, oltre che per ragioni di sostenibilità complessiva di Ridaje stessa, anche per evitare che i lavoratori considerino questa come un’opzione ultima e non il punto di partenza (vedi Annex – Tavola 2.3).

 

4. Spazi di interazione esterna.

 

I privati che si rivolgono a Ridaje, che siano singoli clienti, associazioni, comitati di quartiere o imprese, conoscono la mission dell’iniziativa e ne sposano il valore economico e sociale. Questo però espone i ridajers al contatto con la cittadinanza ogni volta che operano in contesti pubblici, che questa sia committente, beneficiaria inconsapevole o semplicemente di passaggio. La dinamica relazionale è oltretutto sostenuta e facilitata dalla supervisione del coordinatore.

Quanto descritto non è da considerarsi come banale o scontato, soprattutto se si pensa che nei tempi precedenti all’assunzione da parte di Ridaje, i giardinieri erano senza tetto, nella migliore delle ipotesi semplicemente ignorati ai lati delle strade. L’obiettivo a riguardo è che questi re-imparino a relazionarsi con la realtà che li circonda in modo edificante e positivo (vedi Annex – Tavola 2.4).

 

5. Rewarding non economico/monetario 

 

Riacquisire una visibilità diretta, in prima persona, osservata e osservabile, pone i ridajers come attori del loro lavoro, per il quale possono contemplare il risultato positivo del loro intervento. Dal punto di vista concreto, quando un’opera è completata ai giardinieri compete anche la reportistica: fare le foto del loro lavoro. Queste vengono usate come strumento di marketing sui social, la qual cosa è motivo di vanto per loro e ritorno d’immagine per il cliente. 

Inoltre lo sguardo di approvazione della cittadinanza traduce la stima ricevuta in credito di autostima. Questo è il momento in cui i ridajers prendono consapevolezza dell’impatto reale che la loro agency è in grado di generare. Loro possono contribuire a un mondo migliore il che significa che possono anche ambire ad una vita migliore: il desiderio trascendente si realizza in opera di perfezionamento di sé e della società nel complesso (vedi Annex – Tavola 2.5).

 

Immagine 2: Modello di Empowerment– Riconnessione con la Realtà Esterna

 

Discussione

 

Perché Ridaje è diversa, per esempio, da qualsia altra realtà inclusione sociale all’interno di spazi sicuri? Rispetto al modello di sviluppo promossi da altri progetti, questo di Ridaje si differenzia per un impatto sulla realtà integrale e maggiormente diretto. L’obiettivo ultimo, nel caso in questione, non si limita a realizzare solo un tramite nei confronti della realtà esterna, operando da bridge, tra una realtà chiusa e il mondo esterno. Ridaje piuttosto si propone di ricostituire una relazione degradata tra la persona emarginata e il contesto sociale da cui questa emarginazione scaturisce.

Vi è certamente la creazione di uno spazio, in primo luogo da intendersi come sicuro, realizzato con il binario ingaggio-distacco, che tutela l’emarginato dalle principali cause esterne di disempowerment. Tuttavia questo “spazio sicuro” diviene uno spazio di “riconnessione”, nella misura in cui si sposta in out-door nei giardini. Ciò è certamente causa di particolare complessità ma allo stesso tempo anche inclusione. Le dinamiche che si innescano nella creazione di un’ “identità basata sul ruolo” e negli “spazi relazionali” sono infatti particolarmente ricche dal punto di vista del rewarding non economico, ma che ha valenza dal punto di vista umano e della persona. Ciò fa sì che l’operosità di Ridaje generi un impatto chiaramente diretto sulla capacità della persona di abitarsi alla società e di relazionarsi nei vari contesti. Tutto ciò ci permette di affermare che quello di Ridaje si affermi essere come un modello di Empowerment capace di abilitare dimensioni basilari dell’esistenza, ma anche dimensioni più complesse che riguardano gli aspetti relazionali.

E’ bene tuttavia sottolineare un aspetto tutt’altro che scontato: i processi di empowerment passano per l’abilitazione alla produzione. Nel caso di Ridaje, si è trattato di porre in essere l’insieme delle condizioni che consentono alla persona emarginata di poter esprimere il proprio potenziale nella realizzazione di un servizio utile alla comunità. Servizio utile tanto da avere un valore per il quale un comune cittadino sia felice di riconosce un contributo economico, un “prezzo”. Il luogo fondamentale perché ciò avvenga è pertanto la presenza di un mercato, spazio necessario alla “riconnessione con la realtà”, luogo dove si manifesta l’agency, si incontrano fattori abilitanti, necessità e aspetti relazionali. A ben vedere i maccanismi messi in atto da Ridaje sono meccanismi che abilitano allo produzione di valore economico di persone che altrimenti non avrebbero potuto esprimere tale valore. Motivo per cui gli outcome si estendono oltre l’abilitazione di base e si traducono in un’abilitazione complessa.

 

Immagine 3: Modello di Empowerment– Abilitazione alla produzione e impatto sulle 

 

Conclusioni

 

Ridaje nasce con lo scopo di replicare il meccanismo di empowerment di MIC in un habitat esterno rispetto a quello carcerario, applicandolo, nello specifico, alla categoria dei senza tetto, nonostante le condizioni dei beneficiari siano opposte: mentre in MiC sono reclusi, in Ridaje vivono l’alienazione opposta, trattandosi di persone esposte totalmente all’ambiente aperto, esteso, che non trova rifugio. L’analogia è paradossale: da un lato le detenute, strette fra le mura del carcere, dall’altro i senza tetto, privati di ogni muro. Quel che bisogna cogliere a riguardo però è che entrambe queste categorie vivono la scomparsa della dimensione domestica, la privazione della casa, il che significa che sia l’una che l’altra si trovano in una condizione di con-fusione definitiva e totalizzante della vita privata con quella pubblica. Il paradosso è così ricomposto: la forzatura di non poter più distinguere una sfera di intimità da quella sociale conduce all’alienazione della perdita di identificazione dell’Io, il quale è in entrambi i casi privati della sua necessaria tutela. 

Detto ciò, diventa chiaro che l’impegno richiesto riguarda un’azione di abilitazione alla produzione che lavori su alcune dimensioni basilari, ma che non si limitano ad esse. I meccanismi da porre in essere devono necessariamente estendere il proprio impatto al livello più profondo, agli aspetti relazionali e, pertanto, alle capability più complesse.

La sperimentazione di Ridaje pertanto, oltre al valore oggettivo, ha anche un interesse scientifico proprio per questa analogia: si può considerare una prova validante di un modello specifico di empowerment che permette di cogliere e misurare i processi di quel dato modello ma in un contesto diverso.

 
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